Reportage: il volto familiare dell’Armenia
La saponetta Camay nel bagno della guest house è il segno che ti aspetti: stai tornando indietro nel tempo per quanto fra terremoti e devastazioni qui a Yerevan, a quanto pare, si è sempre demolito e ricostruito con troppa disinvoltura. Sarà anche per questo che la storia della Armenia spesso è difficile considerarla al netto della nostalgia. L’Ararat, il monte gentile ma anche molto capriccioso, non si fa vedere stamattina nonostante alle nove l’aria sia ancora fresca e sulla città non si è ancora riversato quello strato lattiginoso di afa che occlude l’orizzonte. Dalle case – più che case, rustici villini con davanti pergolati di vite – qualcuno esce per andare a lavoro. Passano diversi Suv e fuoristrada ma soprattutto tante Lada scassate. L’atmosfera è quella rarefatta delle città dell’Est ancora plasmate secondo i canoni dell’ex Unione Sovietica. Rarefazione che, è questo il timore, sembra avvolgere pure le menti delle persone. Ma non si può dire che non siano ospitali. Soprattutto verso di noi. Arrivare in un luogo in cui i Romani ci sono già stati presenta i suoi vantaggi. Deve essere questo il motivo per cui non osi andare oltre i confini delineati da Strabone nei suoi libri di geografia. Il Museo del genocidio è una tappa obbligata. All’interno, le foto di Armin Wegner documentano tutto con precisione e allora perché i Turchi si ostinano a negare?
A cena la presenza del pianista contribuisce non poco a conferire all’ambiente l’aspetto di un ristorante di una nave crociera di altri tempi. All’uscita il cameriere, dal viso simile a quello di Charles Aznavour, aprendoci la porta intona per noi Torna a Surriento. Quello dell’aneto è il primo sapore che ti porti dietro insieme ai semi che ti sono rimasti tra i denti. Poi, sulla terrazza, finalmente comincia ad arrivare un po’ di brezza e il corpo si rilassa. Solo a quest’ora hai la percezione di essere in terra caucasica. Prima l’aria, dilatata dal caldo, te lo impedisce. Ripensi al viaggio di Tiridate alla volta di Roma, per ricevere da Nerone l’investitura di re dell’Armenia, di cui ti ha parlato la guida all’interno del museo. Durò nove mesi, il tempo di una parto, accompagnato da tremila cavalieri e da alcuni Magi, tant’è che c’è chi ha sostenuto che lo scopo del viaggio fosse anche quello di inziare l’imperatore romano al culto di Mitra. Non ti importa capire quanto sia attendibile questa ipotesi. Per il momento è sufficiente ad accenderti l’immaginazione: non vedi l’ora di immergerti nel paesaggio rurale e nella asciutta spiritualità dei suoi monasteri arroccati su monti impervi, spesso vere fortezze, nati dopo che l’intero paese adottò il Cristianesimo come religione di stato. Nella notte l’ululato del cane suona come un avvertimento. Fai attenzione: l’errore da evitare, oltre a quello della nostalgia, è di predisporsi a vivere la fascinazione per l’arcaico acriticamente.
MUSEO DEL GENOCIDIO DI YEREVAN: le fotografie di Armin Wegner
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COSA ACCADE IN ARMENIA: Osservatorio Balcani e Caucaso