Parto all’improvviso, dopo aver letto di un viaggio su una rivista. Arrivo in giaccone e mi ritrovo in maglietta: fa caldo. Afoso. Fuori dall’aeroporto tanta gente di colore. Come fuori dalla stazione di Napoli. Qui sono la maggioranza, è naturale: è la loro terra. Sono gentili come sempre. Salgo su un pulmino. Ci muoviamo su strade in cui l’asfalto è sommerso dalla sabbia. Paesaggi bellissimi: osservo la meraviglia negli occhi dei miei compagni di viaggio. Plastica e rifiuti a bordo strada. Somiglia tanto alla mia terra.
Mi rendo conto di quanto siamo africani
Incolonnati nel traffico, mani dai finestrini. Anacardi, buste di plastica, collanine, banane, sacchetti di acqua potabile: è l’Africa. In un’aiuola circondata da auto, decine di ragazzini giocano a calcio. Scalzi con un pallone di buste di plastica annodate.
Penso alla mia infanzia. Gioco bene, veloce, mi piace il calcio, ma non so cosa significhino stopper, fuorigioco, stop a seguire. È un calcio selvaggio come quello di questi bambini africani, senza schemi: mio padre è appassionato di atletica. Mi chiamano “prufessò” per sfottermi perché i miei genitori insegnano al liceo.
Il traffico africano: macchine incolonnate alla napoletana. Clacson. Due che si scazzottano. Tanta gente a piedi. I ragazzi continuano a giocare. Torsi nudi. Qualche maglietta di squadre italiane.
Ancora ricordi…
Giochiamo a imitare i calciatori della televisione. Giochiamo la domenica mattina sul campo dei Salesiani. Chi non è a messa, è fuori squadra. Non per la chiesa, ma per il rispetto delle regole. L’allenatore Tonino ci insegna a vivere facendoci giocare al calcio. Un grande uomo Tonino, in una terra in cui essere uomini è la cosa più difficile da realizzare. Non so che fine abbia fatto, spero sia felice.
Cerco di contare i ragazzini che stanno giocando sull’aiuola. Sono tanti, di diversa età. Penso alla difficoltà di mettere insieme dieci persone per giocare a calcetto nella nostra società occidentale: decine di telefonate, solo dopo il lavoro, di notte, sotto la luce artificiale, su campi di plastica. Il calcetto. Veloce, ritmi serrati, gol continui
giochiamo come viviamo
Ricordo con nostalgia i campi di calcio della mia infanzia. L’erba solo agli angoli, dove il calpestio è minore. Non erba da prato inglese, ma erba selvatica. Gioco in difesa. Durante la partita ho il tempo di godermi la giornata di sole quando il pallone è dall’altra parte del campo. Spesso zero a zero, ma tutti contenti. Stanchi, sporchi, sudati, ma soprattutto fuori casa.
Bei giorni. Forse per la giovane età o forse perché vissuti con altri tempi, più lenti, più umani.
Guardo questi ragazzini africani e rivivo quelle sensazioni
Campi senza linee, porte sgangherate, ragazzi che giocano a pallone e sognano il calcio dei campioni. Non si telefonano per incontrarsi. Non esiste il calcetto in Africa. Spero non ci arrivi mai
Piacerebbe a Tonino questa Africa, con i suoi ragazzi veloci, magri e con tanta fame di arrivare. Piacerebbe a mio padre perché c’è ancora la possibilità di insegnare ai ragazzi ad essere uomini senza paura di farli diventare dei disadattati
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