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Majella: la natura selvaggia e il senso del sacro

Aggiornamento: 4 ott 2022


Qual è l’origine di questo nome così curioso?


La leggenda narra che Maja, la più bella delle Pleiadi, fuggì dalla Frigia per portare in salvo il suo unico figlio Ermes, il gigante, caduto in battaglia. Dopo un lungo viaggio si rifugiò tra i boschi dei monti d’ Abruzzo per cercare l’erba miracolosa che cresce alle falde della bianca montagna, l’unica in grado di salvare il suo amatissimo figlio. Ma la montagna, ricca di erbe medicamentose, era purtroppo coperta dalla neve così ogni suo tentativo di ricerca fu inutile. Ermes morì. Sconvolta dal dolore Maja, lo seppellì sul Gran Sasso, dove ancora oggi, chiunque osservi da levante, può riconoscere nel profilo della catena montuosa Gigante che dorme. Inconsolabile, vagò a lungo per i boschi. Poi, logorata dal pianto e dal dolore, esalò l’ultimo respiro sul monte che l’aveva accolta e che oggi porta il suo nome, la Majella. Lì venne sepolta dai pastori impietositi per la sua triste storia, adorna di ricche vesti, di vasi di prezioso metallo, e soprattutto di fiori e di erbe aromatiche. La montagna, prese così la forma di una donna impietrita dal dolore riversa su se stessa con lo sguardo fisso al mare. Ancor oggi i pastori odono i suoi lamenti nelle giornate di vento quando i boschi e i valloni riproducono il lamento di una Madre in lacrime…



Questa leggenda, benchè affascinante, è rifiutata dagli storici che attualmente forniscono una nuova e più scientifica interpretazione del nome Majella. Anticamente infatti la montagna era chiamata Magella. Il prefisso Mag in particolare è presente nella toponomastica di tutta l’Europa mediterranea, dalla Spagna al Caucaso, con particolare frequenza nella zona balcanica e danubiana con il significato di altura. Alcuni esempi: “magura” in rumeno, “magule” in albanese ed altri simili (“magulica”, “magoula”, “magali”) attestati tra la Grecia, l’area danubiana e il Caucaso, tutti con lo stesso significato di “altura”, “montagna”, ma anche “tomba a tumulo”. La medesima radice mag- si ritrova in Asia minore (“Magal”), in Sardegna (“Magai” e “Monte Maguri”), in Lucania (“Magorno”), in Toscana (“Mugello”) e nei Paesi Baschi (“Magasca”) . Inoltre ricordiamo che in lingua albanese la parola “cima” si traduce con Maje. Quindi Majella significherebbe “Montagna grandicella” poiché il suffisso “ella” fungerebbe da comparativo.


Luca, cosa rappresenta per te la Majella?


La Majella è la presenza costante e rassicurante che protegge le spalle di tutti gli abruzzesi che vi sono nati nei pressi, con lo sguardo proteso sul mare e la mole rassicurante di questa grande “madre”. Anche per me la Majella è prima di tutto un riferimento visivo e affettivo. Entrando nelle sue valli e salendo le sue cime poi ci si accorge della grandiosità degli ambienti, della profondità nascosta dalla prospettiva e di quanta bellezza e senso di grandiosità sia in grado di donare. Il senso del divino che l’uomo ha trovato e inseguito su questa montagna nei secoli addietro credo sia la sensazione che provo tutte le volte che entro nelle sue pieghe più nascoste, ed è per questo che credo di comprenderlo e non mi stanco mai di percorrerne i sentieri.



La natura selvaggia e il Sacro


La ricchezza di grotte di questo territorio calcareo non fa che aumentarne il mistero. Celate dalle foreste di faggio, le numerose grotte della Majella hanno dato riparo ai cacciatori paleolitici, quanto ai pastori, agli eremiti, ai briganti e infine agli sfollati durante la guerra, quando la Majella era l’ostacolo naturale sul quale si basava la linea Gustav tra il ‘43 e il ‘44. Se la sensazione di selvaggia impenetrabilità di questa montagna ha indotto gli uomini di tutte le epoche a cercarne riparo e protezione, o mistico isolamento, la ragione è proprio nell’impatto emotivo che la Majella riesce a suscitare, quasi fosse una presenza senziente, una dea appunto.



Le incisioni rupestri sul Monte Cavallo invece hanno origine più recente. Quale storia raccontano?


Nei pressi del Monte Cavallo, su un affioramento roccioso denominato “tavola dei briganti”, è possibile leggere e osservare molte incisioni sulla roccia raffiguranti croci e simboli, ma più spesso nomi e date. Queste incisioni vanno dalla fine dell’800 fino agli anni 40 del ‘900, quando i pastori sostavano su questa altura durante le giornate al pascolo. Possiamo facilmente immaginarli, circondati dal gregge e dai cani da pastore abruzzese mentre si rilassano al sole incidendo il proprio nome e la propria provenienza nel calcare della Majella. Le iscrizioni sono dunque pastorali, ma una di esse ha suscitato la fantasia di qualche storico locale che pensò fosse attribuibile ai briganti. La banda della Majella fu una formazione armata affiliata al grande fenomeno del brigantaggio meridionale che seguì l’unità d’Italia. Essa contrastò la Guardia Nazionale e l’esercito piemontese tra il 1860 e il 1865 ed era attiva proprio in questa zona, uno dei capi fu tradito e ucciso in una grotta poco distante nel 1865.

Questa iscrizione in realtà fu incisa nel 1894, quindi dopo i fatti post unitari, ma conserva il dolore e l’angoscia di un popolo sconfitto. Essa infatti recita: “Leggete la mia memoria per i cari lettori. Nel 1820 nacque Vittorio Emanuele Re d’Italia. Primo il 60 era il regno dei fiori, ora è il regno della miseria”



Incontri speciali, nomadismo apistico e didattica ambientale


La frequentazione assidua della montagna porta a fare incontri significativi con gli ultimi testimoni di uno stile di vita ormai estinto, quello del pastore monticante. Qui sulla Majella, la maggior parte degli allevatori svolgeva la pratica della “monticazione”, che consisteva nel salire man mano di quota seguendo l’avanzamento della buona stagione, occupando mese dopo mese, grotte poste sempre più in alto, per poi seguire il percorso a ritroso in autunno. Il pastore abitava la grotta insieme agli animali seguendo ritmi di vita incredibilmente duri. Stupirà scoprire che qui sulla Majella è rimasto un ultimo pastore che continua a vivere così! Nella foto c’è la sua grotta di altura detta Fonte Fredda, dove il pastore Domenico trascorre i mesi estivi. Entrare nelle grotte, ritrovando oggetti di vita quotidiana, il giaciglio, la sorgente d’acqua sistemata alla buona per “addomesticare” l’acqua che scorre incessante dalle spaccature della roccia, ci trasporta in un mondo quasi preistorico. Parlare con questi pastori significa entrare in contatto con una realtà aliena e distante, senza tecnologia e senza legge. Inutile sottolineare che per parlarci bisogna comprendere il dialetto locale…



I borghi, la loro bellezza e l’economia circolare


Le falde della Majella sono circondate da una corona di borghi grandi e piccoli. Sebbene offesi da secoli di guerre, invasioni e terremoti, conservano intatto il fascino di un’urbanistica a misura d’uomo, dove la qualità della vita si regge su standard alti, grazie alla salubrità dell’aria e alla qualità dell’acqua. Ma questi non sono i soli pregi dei territori interni, esiste infatti nell’isolamento un privilegio che bilancia parzialmente lo svantaggio di trovarsi lontani dalle grandi vie di comunicazione. Resistono infatti le reti commerciali e agricole fatte da piccoli imprenditori, artigiani, commercianti e allevatori che in questi borghi mantengono un ruolo di rilievo nonostante l’assalto della globalizzazione dei consumi e dei costumi. Questo fa sì che possano resistere tradizioni culturali come ad esempio la cucina tipica, non relegata ai ristoranti che riscoprono le ricette del passato, ma praticata e consumata negli spazi domestici, come patrimonio collettivo e collante di una comunità.



Infine un fermo immagine di questi luoghi meravigliosi. Una tua cartolina


L’ immagine che conservo e voglio condividere è quella che ho vissuto negli anni della mia infanzia e giovinezza nel mio paese natale: Guardiagrele. Dall’alto della finestra della mia camera, nelle serate estive, si ammirava un tramonto indimenticabile. Il sole andava a nascondersi dietro il Gran Sasso, lontano all’orizzonte, mentre la vicina Majella diventava scura e misteriosa, a nord il mare risplendeva ancora e sulle colline e le campagne si allungava l’ombra della montagna.



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