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Aspettando l’aurora – II puntata

Aggiornamento: 4 ott 2022


I 1.250 chilometri che separano Stoccolma e Kiruna sono ben poco abitati


un continuo succedersi di foreste e laghi che si estendono tra il golfo di Botnia da un lato e il confine norvegese dall’altro. Il dormiveglia della notte in treno è scandito dal sonno cullato dall’oscillare dei vagoni sui binari e dai risvegli all’annuncio delle stazioni lungo il tragitto: Uppsala, Sundsvall, Umeå, Luleå….



Verso le sette del mattino attraversiamo finalmente il Circolo Polare Artico. Guardo fuori dal finestrino, come in cerca di qualche segno dell’avvenuto passaggio, ma l’oscurità è totale. Dovrò abituarmi al buio: a queste latitudini, d’inverno, il sole non sorge mai veramente e la luce si diffonde solo per poche ore nel cuore della giornata.


La stazione seguente è la cittadina di Gällivare: siamo ormai nel cuore della Lapponia svedese, una terra dove le immagini incantate da cartolina natalizia si intrecciano con il lascito di una storia complessa, e a tratti drammatica. Quella che noi chiamiamo Lapponia è infatti Sápmi, la terra dei Sámi, una popolazione il cui territorio si estende tradizionalmente dalla penisola di Kola, nell’attuale Federazione Russa, sino alla Norvegia, attraversando il nord della Finlandia e della Svezia. Nell’immaginario collettivo, i Sámi sono ancora oggi associati allo stile di vita semi-nomade connesso all’allevamento delle renne, ma come molte altre popolazioni che per lungo tempo sono state caratterizzate da economie di sussistenza legate a caccia, pesca e pastorizia, a partire dal XIX secolo la loco società è stata stravolta dall’incontro traumatico con il crescente potere degli stati nazionali, l’imposizione dei confini, l’affermazione dei sistemi di produzione industriale.



Oggi Kiruna porta in sé tutte le tracce dei cambiamenti avvenuti negli ultimi due secoli in questo angolo solo apparentemente remoto della Scandinavia


Si tratta infatti di una città mineraria, sorta alla fine dell’Ottocento per ospitare i lavoratori di quella che è tutt’oggi una delle più grandi miniere di ferro del mondo. Ogni giorno da qui partono lunghissimi treni merci diretti al porto di Narvik, in Norvegia, dove il ferro viene imbarcato sulle navi cargo per proseguire il suo viaggio globale.

L’attività estrattiva è stata così intensa nei decenni scorsi da mettere in pericolo la stessa esistenza della città: a causa dei continui cedimenti del terreno, entro il 2030 Kiruna verrà letteralmente spostata ad alcuni chilometri di distanza e la sua popolazione dovrà trasferirsi nella “Nuova Kiruna” attualmente in costruzione.



Nonostante sia consapevole della sua rilevanza economica, arrivando a Kiruna la mia prima sensazione è di essere giunto alla fine del mondo

Uscito dalla stazione, mi ritrovo immerso in un paesaggio in cui ogni cosa è cristallizzata



Le strade, le case e gli alberi sono coperti da uno spesso strato di neve ghiacciata che assorbe ogni rumore. Nonostante siano le nove del mattino, non ci sono auto né persone in giro e l’unico segno di vita paiono essere le stelle luminose che brillano alle finestre delle abitazioni. Da queste parti non si usano le tende, e durante l’inverno non c’è finestra in cui non venga esposta una stella di carta al cui interno è sempre accesa una lampadina: una piccola luce per celebrare la vita che continua, nonostante le tenebre quasi perenni del lungo inverno artico



La temperatura è di 12 gradi sotto lo zero. Prima di raggiungere la casa dell’artista Sámi di cui sarò ospite, decido di rifugiarmi qualche istante nella bellissima Kiruna Kyrka, la chiesa di legno che dal 1912 è il simbolo della città. Pare che nel 2025 verrà smontata pezzo per pezzo e poi rimontata nella Nuova Kiruna.




L’eccezionalità del luogo vale decisamente lo sforzo

 Entrando ci si lascia alle spalle il gelo e il candore della neve e non si può non rimanere in contemplazione del grande dipinto in stile Art Nouveau posto sopra all’altare: un prato fiorito e un verde boschetto inondato dalla calda luce del sole della primavera.



(continua)


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