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Il mio Ecuador 4°parte

di Marisa

Salinas de Guaranda

Eccoci a sabato, continua la visita a Salinas e alle comunità femminili che fanno sempre parte della parrocchia di Salinas (tipo il nostro comune) ma che vivono sugli altipiani, 4200 metri (Aldo soffre l’altitudine, mal di testa): Verde Pampa e Pachancho.

Qui ci sono poche case, una sala dove si ritrovano le donne, una piccola scuola. Anche qui oltre al lavoro quotidiano sono le donne che per migliorare la loro situazione economica lavorano a ferri e costruiscono delle ceste molto carine.

Sono vestite con gonne colorate e scialli un po’ vecchi e rovinati, sempre con le trecce lunghe, nere. I visi hanno guance rosse, rovinate dall’altitudine, i denti sono spesso cariati.

Bambini attorno, davanti, legati dietro e sempre pronte ad allattarli, parlano molto poco con noi, preferiscono parlottare tra di loro.  Sono fondamentalmente timide e anche se io mi siedo tra loro, le chiamo per nome, sorrido, mi faccio spiegare i punti dei lavori a ferri non riesco a comunicare più di tanto. Lama e alpaca sono tutt’attorno, scene silvestri, paesaggi immensi, il vulcano innevato. Camminiamo su un tappeto di erba verde incrocio tra il muschio e piante grasse. Strade sterrate, silenzio, passaggio di gente a piedi o a cavallo e tutti sotto il carico di legna per riscaldarsi e cucinare o altri generi di conforto. Poco conforto!!!

Oggi siamo invitati a pranzo da Jimena, abbiamo avuto così tante cose da vedere che arriviamo in ritardo di ore, alle 16. Che vergogna! Ed invece lei è li con tutte le altre donne del gruppo, sono una decina, felici di vederci. E’ tanto cara, ha dovuto lavorare più del solito!! Si va subito a tavola.  E’ un avvenimento soprattutto per loro. Siamo gli ospiti: Aldo, Giorgio ed io. Vogliono farci mangiare al tavolo da soli, loro in segno di rispetto si siedono su panchette di legno lungo il perimetro della stanza staccate dal tavolo. Ma non può essere, ci rifiutiamo di mangiare se non si siedono con noi. Resistenza zero e così insieme mangiamo il piatto unico che consiste in riso bianco, pollo (un quarto), patate lesse e una specie di insalata russa piuttosto gialla che Jimena, accorta, non ha mescolato ai nostri ingredienti come invece fanno per i loro piatti. Io non mangio l’insalata russa. Non mi fido e non voglio rischiare un mal di pancia. Aldo, al quale hanno dato mezzo pollo non ce la fa più a finire, mentre io e Giorgio divertiti continuiamo a dirgli che non si può lasciare lì il pollo…Acqua per tutti. Per posate il cucchiaio anche per mangiare la carne. Abitualmente usano le mani. A noi anche i bicchieri di vetro, alle altre donne di plastica. I loro mariti sono assenti. E’ una festa, si ride, si chiacchiera fino a sera, è un bel momento comunitario quello che si è creato. Si lasciano andare, parlano un po’ di più e sorridono. Mi chiedono sempre quanti figli abbiamo Aldo ed io e alla immancabile risposta di uno solo sono molto meravigliate. Restiamo fino a che si fa l’ora di dar da mangiare al maiale e noi andiamo con lei mentre a casa le altre amiche aiutano a sistemare il secchiaio nella penombra e con la poca acqua. Qui la pulizia è un concetto molto relativo. Anche oggi girando per strada tutte mi salutano, grandi cenni e sorrisi, mentre gli uomini sono meno socievoli e interessati, loro si intromettono solo per dire una loro opinione o per far notare che comandano. Sono anche quelli meno curati e trasandati rispetto alle donne.


Salinas è un esempio di comunità solidale perché è riuscita a creare lavoro per gli abitanti, per i giovani soprattutto, e un certo benessere costruendo la latteria che produce formaggio conosciuto in tutto l’Ecuador, ha una cioccolateria con buonissimi cioccolatini e mandorlati, il Salinerito che viene commercializzato anche in Italia. C’è anche una filanda che lavora i filati di pecora e alpaca e la Texal, la cooperativa che vende i prodotti lavorati a maglia dalle donne. Uno dei motori di queste attività è sicuramente padre Antonio Polo che vive a Salinas da 40 anni, veneziano di origine. E’ commovente il suo impegno, la sua dedizione e la domenica lo ascoltiamo e alla messa che tiene all’aperto. Molto partecipata la cerimonia e quasi commovente la gente che dopo la comunione va ad abbracciare il padre, soprattutto i giovani che per studio sono lontani dalla comunità e sono felici di vederlo.

Salinas è raggiunta quotidianamente da turisti equatoriani per la realtà di vita e condivisione comunitaria e deve la sua bellezza al paesaggio naturale che la circonda. Per il resto le case sono mal messe, tante cadenti, sbrecciate, le strade dissestate, polvere, cacche ovunque, molta plastica in giro.  La piazza, unico posto comune, ha una unica panchina di cemento rotta e non è un luogo accogliente. La vivacità è data dal fatto che tutti sono costretti a passare di là, e allora in certi momenti è un brulichio di esseri. La bella chiesa gialla spicca a un lato della piazza.

Domani si riparte per continuare il viaggio verso Cuenca, gioiellino coloniale, sarà sicuramente interessante ma per ora apprezzo molto questa esperienza di vita comunitaria e di scambio con le donne salinerite. “E que viva la donna andina!” (cito padre Antonio Polo)

E poi si torna a casa… e racconterò a tanti amici questa avventura!

Marisa

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