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Immagine del redattoreStaff Viaggi Solidali

Diario di viaggio Uzbekistan: Samarcanda

Tanto attesa, tanto sognata e come spesso succede in questi casi fonte di delusione.

Samarcanda, la Samarcanda che era il centro del mondo ai tempi di Tamerlano e il cui nome musicale rimanda ad epoche passate e affascinanti, non esiste piu’.

Ci si accorge di questo immediatamente. Grandi viali e grandi parchi realizzati abbattendo i vecchi quartieri. Gli edifici storici restaurati o meglio ricostruiti in epoca sovietica prima e dal governo uzbeco dopo l’indipendenza. Moschee e Madrase che spiccano nel vuoto di questi grandi parchi ormai simbolo di un passato che non esiste piu’, di una citta’ che non esiste piu’ e che forse era ingenuo aspettarsi di ritrovare.

A differenza di Bukhara e Khiva che comunque danno la sensazione di citta’ vive e vissute dai loro abitanti, a Samarcanda le grandi Madrase e mausolei scintillanti alla luce del sole con le loro maioliche e mosaici nuovi di zecca, danno alla citta’ un’aria spettrale.

E impressiona il fatto che i quartieri della citta’ vecchia siano stati nascosti alla vista degli stranieri da alti muri o da nuovi edifici e che l’accesso al quartire sia possibile attraverso grandi cancelli che danno l’impressione di poter essere chiusi per nascondere al mondo la citta’ vera, quella delle persone normali.



Samarcanda – Al mercato

Ed e’ solo oltrepassando questa soglia che riesco a riconciliarmi con la citta’. Perche’ entrando nei vecchi quartieri si puo’ osservare la vita quotidiana, la vita reale. Soprattutto si riesce a cogliere l’importanza della famiglia. Dietro i portoni delle grandi case, si aprono grandi cortili e in queste grandi case abitano 2, 3 generazioni insieme. E’ questo il vero pilastro dello stato sociale uzbeko. La famiglia allargata. In un paese che, nonostante le grandi risorse naturali non decolla, ma anzi, nel quale il divario tra ricchi e poveri si allarga sempre di piu’, se non ci fosse questo modello familiare in cui si condividono risparmi o ci si sacrifica lavorando all’estero per far studiare i fratelli minori, sicuramente la vita della maggior parte delle persone sarebbe ai limiti della soglia di poverta’. Oggi tutto si paga, l’istruzione, la sanita’ e tutto con prezzi equiparabili ai nostri ma a fronte di uno stipendio per un dipendente statale di poche centinaia di euro. Percio’ senza il mutuo soccorso e l’aiuto dei parenti emigrati all’estero, soprattutto in Russia, la vita sarebbe molto piu’ dura.

Molti sembrano quindi rimpiangere l’epoca sovietica. Forse non c’era tanto ma tutti lavoravano e i bisogni primari erano soddisfatti e soprattutto gratuiti. Ma come ci hanno raccontato Massimo e Piera, che ormai da 15 anni insegnano all’Istituto di Italianistica della Facolta’ di Lingue, l’anziana moglie del vecchio rettore dell’Universita’ ai tempi dell’URSS, alla domanda se stessero meglio ai tempi del regime comunista, ha risposto con un laconico “bene non stiamo mai stati…”.

E’ forse eredita’ di quel regime e’ il secondo pilastro del welfare uzbeko: la piccola corruzione.  Quella che fa girare il mondo da queste parti e permette di arrotondare i miseri stipendi degli statali. Quella per cui, per avere un documento importante in tempi ragionevoli, devi magari regalare una ricarica telefonica al funzionario di turno.


Samarcanda – Bambina Liuly

Massimo e Piera, conosciuti grazie a Viaggi Solidali hanno dedicato qualche ora del loro tempo per illustrarci la vita nei vicoli della citta’ vecchia e fornendo un punto di vista originale sulla vita a Samarcanda frutto della loro esperienza. Inoltre tramite una Onlus, “Un asilo a Samarcanda”, con cui collaborano sostengono la comunita’ degli zingari Liuly, i piu’ poveri tra i poveri, consentendo ai bambini della ccomunita’ di frequentare un asilo nel quartiere che abbiamo potuto visitare.

Ma alla fine i monumenti a Samarcanda bisogna pure visitarli. E probabilmente se non fossero associati a questa citta’ dal nome evocativo e se le mie aspettative non fossero state cosi’ elevate, mi sarei sperticato in lodi fin dall’inizio senza nessuna traccia di delusione.


Samarcanda – Madrasa Shir Dor

La piazza del Registan con le sue tre Madrase e’ imponente e unica al mondo. La piazza risale al 1400 quando Ulug Beg, nipote di Tamerlano e grande scienziato appassionato di matematica e astronomia, fece costruire la prima Madrasa a lui intitolata e nella quale oltre al Corano si insegnavano anche la matematica e le scienze. Sugli altri due lati della piazza si trovano altre due Madrase di epoca successiva ma altrettanto belle.

Poco lontano si trova la maestosa moschea di Bibi-Khanum, una delle piu’ grandi del suo tempo e costruita per volere di Tamerlano, il quale per dimostrare la sua forza ai nemici faceva costruire edifici maestosi. Esiste una leggenda su questa moschea e sull’uso del vestito di Paranja, il burqa uzbeko. Si dice che l’architetto si fosse innamorato della moglie favorita di Tamerlano, Bibi-Khanum appunto, e che ritardasse volutamente la fine della costruzione e che, approffitando dell’assenza di Tamerlano per una campagna di guerra, minaccio’ di fermare i lavori se lei non gli avesse concesso un bacio sulla guancia. Dopo molte esitazioni lei acconsenti’ ma nel punto del bacio appassionato comparve una ustione e allora Bibi-Khanum, per non essere scoperta da Tamerlano, ordino’ che tutte le donne utilizzassero il vestito di Paranja. Pero’ Tamerlano lo scopri e la fece buttare da minareto appena costruito. In un’altra variante che ci e’ stata raccontata, il bacio avviene con interposta la mano tra le labbra e la guancia e percio’ senza ustione, ma Tamerlano venne a saperlo comunque ordinando che venisse buttata dal minareto. Bibi-Khanum chiese come ultimo desiderio di poter indossare tutti i suoi vestiti di seta  che le salvarono la vita fungendo da paracadute. Allora fu Tamerlano a ordinare  l’uso del vestito integrale perche’ gli uomini non potessero  desiderare le donne altrui.


Samarcanda – Mausoleo di Gur-e Amir

Dopo cena passeggiata per vedere il mausoleo di Gur-e Amir illuminato. E’ qui che e’ stato sepolto Tamerlano con due suoi figli e questo edificio venne preso dai discendenti di Tamerlano come modello per realizzare i mausolei dell’epoca Moghul in India come il famoso Taj Mahal. Veniamo attrati da un piccola folla che si e’ raggruppata poco distante. Impieghiamo poco per capire che si sono radunati per assistere ai giochi d’acqua con luci e musica della fontana appena inaugurata. Fa un po’ sorridere la semplicita’ dei divertimenti di questa citta’ forse un po’ triste.

Ulug Beg oltre alla Madrasa fece costruire anche un osservatorio di cui si vedono ancora i resti di un enorme arco a sestante da lui utilizzato per catalogare la posizione delle stelle.

Poco distante il complesso funerario di Suh-I-Zinda o toma del re vivente che e’ una importante meta di pellegrinaggio del paese. E’un complesso di tombe e mausoleifatto costruire in epoca di Tamerlano nel luogo di un famoso santo dell’Islam, Kasim Ibn Abbas. Venuto a Samarcanda per combattere gli infedeli, secondo la leggenda gli venne mozzato il collo mentre pregava e allora raccolta la sua testa ando’ in un pozzo poco distante dove si troverebbe ancora oggi. Nel complesso si trovano le tombe di alcune nipoti di Tamerlano e altri aristocratici ed e’ inserito in un cimitero ancora oggi utilizzato.


Samarcanda – Banco del pane al mercato

Infine il bazar, luogo in cui perdersi tra odori, rumori e sapori. Affascinante anche se costretto in un edificio di epoca sovietica. Con un po’ di attenzione si puo’ seguire il ciclo del pane vero esempio di economia a chilometri zero. Nei vicoli della citta’ vecchia il pane viene sfornato utilizzando i forni tradizionali di argille a forma di grandi giare e sulle cui pareti interne viene letteralmente attaccato il pane per la cottura . Appena sfornato, i ragazzini utilizzando biciclette, vecchie carrozzine o qualunque altra cosa abbia delle ruote, precipitandosi al mercato dove le ragazze con cura lo lucidano e lo espongono nei loro banchetti per venderlo ancora caldo.

Chiudo citando Tiziano Terzani…Ora che ho visto Samarcanda non potro piu’ sognarla.

di Giuseppe Usai

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