Lunga strada sterrata in mezzo al deserto, in cui troviamo piccoli villaggi, un cimitero dei campesinos e huarangos (carrubi) contorti come la storia della vita e degli uomini.
Alcune di queste indicavano la dimensione di questa città, da cui partivano in processione verso l’altipiano, e la posizione degli astri. I Nazca erano costruttori di acquedotti, tessitori, ceramisti, sacerdoti. Gli scavi effettuati sulla collina hanno portato alla luce i reperti conservati nel museo Antonini. Dopo Chavachi si parte per il lunghissimo trasferimento sulla Panamericana verso Arequipa. Strada dove s’incontrano pochi paesi, deserto e oceano invadono il panorama; una piccola sosta a Yauca, valle d’ulivi e olio, che dopo la riforma agraria venne suddivisa tra le molte famiglie che ora di questo vivono.
Poi sabbia e oceano per ore. Pranzo a Chala, in un ristorante con vista sull’oceano. Interessanti le case sul dirupo sabbioso che le onde oceaniche nelle giornate di mare lambiscono. Delfini che danzano tra le barche dei pescatori, che pescano con piccole reti il perca real probabilmente un’acciuga; cormorani e sule che si tuffano in picchiata per consumare il proprio pranzo.
Si riparte per altre ore di oceano e dune con anse e dirupi, prima di affrontare gli ultimi 130 km che ci porteranno ai piedi del monte Misti.
La prima tappa è il monastero di Santa Catalina, città nella città, un monastero di clausura del ‘600 – soluzione alternativa per le donne di quell’epoca ai matrimoni combinati. Le camere non troppo claustrali e le serve per i lavori domestici rendevano la vita accettabile sebbene ridotta a spazi ben determinati. La seconda tappa è dedicata al museo di Juanita, bimba ritrovata sul monte Ampato, sacrificata al dio Inti con l’obiettivo di innalzarla a Dea e poter comunicare con lei. La fortuna di questo ritrovamento è dovuta all’eruzione di uno dei vulcani attivi che ha sciolto il nevaio in cima all’Ampato e ha permesso di ritrovare il percorso rituale fino alla cima.
Le bancarelle con le erbe fresche per la cura di tutti i mali. Il mate, piccola rapa, ma anche la camomilla, il rosmarino, sacchi di foglie di coca per infusi, oppure il frullato di rana…La macellazione delle capre avviene sulla superficie di un bidone dove spellano e sezionano. Forse le norme sanitarie sono diverse… Esiste anche la papaya arequipegna, piccola e molto acida, mentre la papaya classica è di dimensioni enormi. Insomma, una festa di colori e dimensioni per noi inconsuete. Le persone che affollano il mercato è come se fossero in una comunità che convive giornalmente condividendo pasti e vita. Convivono anche le usanze antiche, con vendita – per noi macabra – di feti di lama, ma per loro indispensabili per i riti di ringraziamento alla Pachamama. Usciti da questo patchwork di usanze e colori, ci dirigiamo verso la plaza major per un caffè su terrazza panoramica, da cui ci godiamo il tramonto dietro ai vulcani e ci dirigiamo verso la cattedrale per visitarla. Sicuramente è più interessante all’esterno che all’interno, ad eccezione della statua lignea del demonio alla base del pulpito. Domani si parte per le alture.
Arriviamo in un piccolo posto tappa, dove un tè di coca ci rifocilla; ci sono concrezioni simili alla Cappadocia e gli alpaca si avvicinano a noi tranquilli. Ripartiamo per salire al balcone dei vulcani, si comincia a vedere la neve, i panorami sono sconfinati, la strada sale dolcemente; ci fermiamo nei pressi di una palude dove due gabbiani volano strillando.
Talvolta fin quassù si arrampicano i fenicotteri; poco più avanti una mandria di alpaca mangia negli scoscesi pendii guardandoci con indifferenza.
Il vulcano Ampato, il Mismi, il Misti e il Chachani fanno da corona a questi vastissimi altopiani. L’altura si fa sentire: i movimenti sono rallentati, il respiro un po’ affannoso, ma le sensazioni forti per l’immenso che ti circonda. Scendiamo verso Chivay, siamo tutti abbastanza esanimi, la discesa è lenta. Arrivati al paese che ci accoglierà per la notte, pranziamo assaggiando le specialità locali: dalla carne di alpaca, ai peperoni piccanti ripieni (spettacolari!), alle patate alla Huacachina fino al cuj in umido. Malgrado l’altura, l’appetito non manca.
Segue una passeggiata digestiva nel mercato del paese, dove nuove usanze ci incuriosiscono: donne con due tipi di cappelli diversi solcano il mercato. I cappelli più tondeggianti appartengono all’etnia Collahua, mentre quelli piatti a quella Cabaña: le prime provengono dalle alture e una volta avevano i crani più allungati, mentre le seconde dagli altipiani con i crani più piatti; oggi si differenziano sono per i cappelli.
In un banco notiamo frutti tondeggianti, verdi e spinosissimi, prima di essere esposti per la vendita: sono i sancayo, fichi del cactus tipici di questa zona, il gusto è aspro ma piacevole e dissetante. Notiamo vari tipi di patata essiccata, trattamento che proviene dalla tradizione Inca per poter mangiare questo prodotto tutto l’anno. Decine di varietà di mais sono racchiuse in sacchi e pronte alla vendita. Da quello nero per preparare la Chincha a quello da bollire o friggere.
Ora le terme ci attendono fuori dal paese: lungo il Canyon del Colca, un centro termale spartano con acqua sulfurea in rilassanti vasche aspetta noi. Ci godiamo un’ora di assoluto riposo, sorseggiando Colcazur, Pisco e Sancayo con ghiaccio. Rientro in hotel, due ore di sonno e cena leggera con zuppa di quinoa concludono una giornata emozionante.
2 agosto Svegli prestissimo e partenza alle 6 per risalire il Canyon del Colca e andare a vedere i condor volare. Il Canyon è lungo 400 Km, ci dicono che ci sono spaccature profonde migliaia di metri. Noi percorriamo circa 80-100 Km; lungo il tratto che percorriamo saltano subito all’occhio i terrazzamenti di epoca Inca e pre-Inca, immagini tipiche del Perù.
Piccoli paesini come Maca e Pachollo, un insieme di muri di fango crudo ricoperti di lamiere sono le semplici abitazioni del luogo. In entrambi i villaggi, chiese spagnole settecentesche dalla pianta a croce sono gli edifici più imponenti. Bancarelle di tessuti affollano le vie principali, bimbe e donne in costume tipico tengono al laccio falchi e aquile per farsi fotografare con i turisti e raccogliere qualche sol. Dopo aver passato una Faglia Geologica, luogo in cui poco alla volta il terreno sta crollando a valle, arriviamo alla Cruz del Condor, luogo in cui per pochi minuti al mattino e alla sera, con le correnti favorevoli, si librano in danze maestose i possenti condor. Hanno aperture alari impressionanti e volteggiano sopra di noi in uno svaso erosivo di più di 1000 m. Sono emozionanti, ci osservano, ci sfiorano per nulla impauriti lasciando che le correnti ascensionali li trasportino in un saliscendi continuo, nello spazio di 20 minuti. Lo spettacolo finisce, l’aria si fa più calda e loro si poggiano sugli strapiombi rocciosi.
Rientriamo, con brevi soste fotografiche, a Chivay dove pranziamo con cibo comprato al mercato prima di risalire a 5000 m e dirigerci a Puno , nostra meta serale, atttraversando altopiani mozzafiato, famiglie di vigogne e alpaca. Durante il percorso ci fermiamo nella zona delle lacunas, che un tempo faceva parte del Lago Titicaca, dove in un panorama mozzafiato, fra nuvole, sale, acqua e terra vivono a 4400 m i fenicotteri. Puno è una città caotica, sia come abitazioni sia come traffico, addirittura in mezzo a tricitaxi, pullmini e taxi compare un treno che attraversa il traffico.
…continua….
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